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QUARANT’ANNI … UNA STORIA! Di Nicola Cosentino

Gentile Direttore,
ho deciso di chiedere ospitalità ai più seguiti siti web locali perché mancano pochi giorni al 3 aprile, data in cui ricorre, in questo anno 2018, il 40° anniversario dell’apertura dell’ospedale di Cariati. Ci fu una grande festa quel giorno, a sancire quello che era un evento di straordinaria importanza per tutto il nostro territorio. I ricordi sono flebili, eppure assai precisi. Pioveva, ma un forte entusiasmo animava la folla accorsa a festeggiare. Si, perché fu una festa di popolo. Certo, erano presenti tanti ospiti, consiglieri provinciali e regionali, i deputati e senatori calabresi, tutti i sindaci, autorità religiose, civili, militari. Ma soprattutto, c’erano i cittadini di Cariati e dei paesi limitrofi venuti a ricevere l’opera che aspettavano. E, così, fedeli a quanto si diceva a quel tempo – “prima i fatti” – il 3 aprile del 1978 ci fu la consegna e la reale apertura di una struttura completa in ogni sua parte e pronta a funzionare a pieno regime. Dal giorno successivo iniziarono i ricoveri nei reparti di medicina, chirurgia, ginecologia, pediatria; fu eseguito il primo intervento chirurgico, nacque il primo bambino; e, poi, i servizi di pronto soccorso, laboratorio analisi, radiologia, cardiologia: tutti operativi, con attrezzature e personale adeguato. Una vittoria, una grande vittoria! Non di un singolo, ma di una squadra. Un gruppo compatto che aveva per mesi e mesi affrontato sacrifici, utilizzate tutte le risorse disponibili, mosse tutte le pedine possibili, lavorato senza sosta e senza risparmio di energia, pur di aprire presto l’ospedale. E, contestualmente, fu presentato e diffuso un libretto dal titolo “L’ospedale di Cariati ieri oggi domani”, nel quale, oltre a tracciare alcune linee essenziali di politica sanitaria locale, furono rendicontate tutte le spese effettuate. Con una dovizia di particolari cui forse non siamo più abituati: finanche “spugnette per stoviglie: lire 60 cadauna” (meno di tre centesimi di euro!). Esempio assai concreto di un modo trasparente di amministrare un ente pubblico. Come si sa, la vicenda dell’ospedale di Cariati si è anche già conclusa. Formalmente, l’1 aprile 2012. E’ possibile, oggi, fare un bilancio di quell’esperienza? Forse è ancora presto. Eppure, mi sembra che il tempo trascorso sia sufficiente per fare alcune incontrovertibili osservazioni. Anche se, ne sono consapevole, ognuna di esse meriterebbe ben altro spazio e tempo di trattazione. Prima osservazione: l’ospedale di Cariati ha erogato, durante la sua attività, un elevato numero di prestazioni, in regime di ricovero e ambulatoriali, di buona qualità, assolvendo le funzioni per cui era strutturato e non solo. Ed è stato, inoltre, un formidabile volano di sviluppo economico e sociale. Dopo la sua apertura sono nate e cresciute tante imprese commerciali, si è incrementata l’edilizia, lo stesso turismo ne ha tratto benefici e si è registrato un considerevole aumento dei residenti. Vantaggi che sono poi gradualmente venuti meno, negli anni successivi. Non a caso, quando è iniziato il lento e progressivo depauperamento della struttura. Seconda osservazione: il piano di rientro approvato e messo in atto dalla Calabria (compresa la chiusura dell’ospedale di Cariati) è stato – a parere dei più – un colossale errore, sotto svariati punti di vista. Non ha affrontato i veri nodi della sanità regionale. Non ha tenuto conto dei contesti locali. Ha tagliato servizi ma non gli sprechi. Ha dissipato risorse invece di riorganizzarle. Cosicché il deficit economico non è stato risanato e, nel contempo, la qualità dell’assistenza sanitaria è precipitata. E chi ne paga ora le conseguenze? Sono state pubblicate, nelle scorse settimane, alcune statistiche ministeriali in cui si dimostra come la durata media della vita dei calabresi sia tra le più basse d’Italia. Qui si muore prima e questo dato è in tendenziale peggioramento quando si confrontano i numeri relativi al 2005 e quelli del 2016. Come non pensare che, tra le tante possibili cause, non siano da comprendere proprio gli effetti del piano di rientro? Terza: la chiusura dell’ospedale ha lasciato un vuoto sanitario nel nostro territorio, non altrimenti colmato. L’innegabile bisogno di assistenza ospedaliera, tuttavia, adesso non potrebbe più essere soddisfatto nei modi e nelle forme del passato. Nel frattempo sono intervenuti profondi cambiamenti nella medicina e nelle caratteristiche ed esigenze dei malati, per cui oggi sono richiesti specifici e definiti parametri di qualità e sicurezza. Difficilmente rintracciabili in strutture con pochi posti letto e senza una rete di collegamenti strutturali e funzionali con le altre realtà territorialmente vicine. Quarta e ultima osservazione: nella difesa dell’ospedale, la classe politica locale non sempre ha fatto una bella figura. L’impegno è stato discontinuo. A tratti poco convinto, quasi che altri pensieri e obiettivi interferissero! Laddove, invece, si è insistito e perseverato, alla fine, qualcosa si è ottenuto (vedi Trebisacce, Praia a Mare). Ma, siccome la battaglia per la sanità è decisamente aperta, sarebbe davvero auspicabile un generale ripensamento. Per concludere, vorrei dire, gentile direttore, che richiamare un importante evento trascorso, nella mia valutazione, è sempre bello e anche utile. E’ bello per chi c’era e ricorda; è bello anche per chi c’era e non può o non vuole ricordare; è bello, soprattutto, per chi non poteva esserci, per i più giovani, che dovrebbero abituarsi ad indagare e considerare la storia del proprio paese. E poi è utile. Perché dall’analisi del passato si possono ricavare motivi ed spunti di riflessione per capire il presente e per gettare una qualche luce sul futuro.
Nicola Cosentino