La Calabria, per nostra fortuna, è stata solo sfiorata dall’emergenza COVID19 rispetto ad altre aree del Paese e del Mondo. Non sappiamo se sia dipeso solo dal caso, oppure, se alcune condizioni ambientali, climatiche e orografiche abbiano influito sulla scarsa diffusione del virus. Quello che sappiamo e dobbiamo attuare, è ciò che questo “tempo fermo” ci ha permesso di comprendere: il Mondo è cambiato, alcune cose non torneranno più come prima nel breve periodo, c’è bisogno di un nuovo modello di sviluppo che sia più locale, sostenibile e capace di garantire cibo, valore aggiunto ed equità.
“Alcuni studi e modelli, ancora da verificare, indicano che di fronte al rischio contagio, – sottolinea Francesco Cufari, Presidente della Federazione dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Calabria - i territori caratterizzati dalla piccola agricoltura tradizionale, e talvolta marginale, si comportano bene e un numero sempre maggiore di persone riconosce il vantaggio di questo sistema, che promuove da sempre il biologico, coltivazione rispettosa dell’ambiente e del paesaggio, producendo impatti economici di rilievo sul territorio. In questo modo si permette agli agricoltori di spuntare prezzi più alti e agli stakeholder di avere un prodotto più sano e sicuro.
Su tutto il territorio nazionale, si stanno organizzando Task-Force per gestire la Fase 2 e la ripresa del comparto produttivo e chi ha la responsabilità politica di gestire l’emergenza e programmare il riavvio delle attività, chiede aiuto esclusivamente ai massimi esperti tra economisti, medici, architetti, imprenditori e sociologi. E, purtroppo, trascura ancora una volta naturalisti, biologi, agronomi e forestali, ecologi, geologi, che hanno le competenze specifiche per valutare la sostenibilità ambientale di un modello di sviluppo. Ciò accade anche in Calabria, dove un coinvolgimento di queste figure e una rivalutazione a 360° del nostro territorio e del nostro ecosistema potrebbero essere i veri ispiratori di un modello di sviluppo che finalmente non rincorra azioni incompatibili (vedi i grandi insediamenti industriali del passato ormai deserti), ma ne implementi uno proprio caratterizzato dalle nostre eccellenze e peculiarità.
Se è vero, come dimostrato, che il virus sfrutta il particolato atmosferico come vettore per diffondersi più velocemente, è chiaro che la crisi sanitaria e climatica sono tra loro connesse. Ri-progettare lo sviluppo economico partendo dall’ambiente e dai limiti imposti dalla sua salvaguardia, rappresenta una potenzialità e non un freno per garantire una crescita complessiva della società e permettere il potenziamento di un sistema produttivo basato sulla tutela della salute, della qualità della vita dei cittadini e sulla promozione dei territori e dell’occupazione.”