Di Angelo Mingrone
“Ascolta, Angelo, dovremmo trovarci da Pegaso alle 6.30. E viaggiare con la tua macchina. Per te va bene?” mi chìede Pino. “No problem, se vuoi possiamo incontrarci anche alle quattro” rispondo io. La puntualità in circostanze del genere non è mai mancata, perché la passione per la montagna, e per il Pollino in particolare, è tanta e sempre viva in noi trekker, soci del CAI di Castrovillari.
Al bar Pegaso di contrada Amarelli (quella della liquirizia DOC) siamo in quattro: oltre a me e a Pino, ci sono Enzo ed Antonio. Mentre sorseggiamo in fretta un caffè e contemporaneamente litighiamo perché ognuno di noi vorrebbe essere quello che paga, le bariste, abituate ormai alle nostre comparse della domenica mattina con abbigliamento ad hoc, ci servono e ci scrutano, con un misto di ironia ed invidia, pensando forse a quanto dovremo faticare durante l’escursione, ma anche alla bellezza dei posti che andremo a visitare.
Punto di ritrovo con gli amici di Castrovillari è l’Hotel Regina nei pressi dell’uscita dell’autostrada del Mediterraneo di Campotenese, 50 km circa a nord Castrovillari. Dove giungiamo in anticipo e dove poco dopo ci incontriamo con i nostri amici di Castrovillari: Gaetano, Pino e Mimmo e gli altri (siamo 17 in tutto). Dopo saluti e convenevoli spicci, proseguiamo a bordo di quattro o cinque macchine in direzione del punto di Partenza della escursione di oggi, il lago Duglia, in una ampia radura con area per Picnic, dove giungiamo dopo un’altra ora e mezza di guida, percorrendo strade non sempre in buon stato, spesso dissestate, strette, o sterrate e piene di buche.
Alle 8.30 siamo pronti per la nostra nuova ed ennesima escursione. Gaetano, organizzatore e responsabile per conto del CAI insieme a Pino, ci illustra per sommi capi i sentieri che dovremo percorrere, che prevedono la visita del lago Duglia, il percorso del sentiero 950, il lago Fondo, i resti della strada ferrata del Rueping, poi la parte più scoscesa e difficoltosa cioè la risalita della Cresta Nord di Serra del Crispo, dove è prevista la sosta per consumare il pranzo a sacco. Il ritorno, quindi ad “anello” percorrendo il sentiero 951 attraverso la grande Porta del Pollino, il passaggio dalla sorgente del Raganello, la visita alla maestosa Pietra Castello quindi il rincongiungimento con il sentiero 950 percorso all’andata, infine il ritorno nell’area del lago Duglia, punto di partenza della nostra Escursione.
La passione per la montagna unisce persone che nella realtà di tutti i giorni fanno mestieri e si occupano di cose completamente diverse. Nel nostro gruppo c’è il negoziante di carni, ma anche l’ex impiegato di banca, o l’operaio tessile in pensione, l’avvocato vaticanista, il dentista e il cardiologo, e l’agente immobiliare. Siamo accomunati dalla passione per la montagna, dalla voglia di mettere alla prova le nostre resistenze fisiche, dal gusto per il sacrificio e dal ripudio del lamento. Ho sempre nutrito particolare ammirazione per Mimmo, trekker e scalatore 80enne, col fisico asciutto, la determinazione incrollabile, il suo essere parco nel consumare i pasti e il pranzo a sacco (cosa che fa imbestialire molti tra noi, perché non riusciamo ad essere come lui, pur volendolo), molto spesso in testa al gruppo e sempre pronto a spronarci a dare il meglio ma anche a rimproveraci se non siamo puntuali agli appuntamenti. Gaetano invece non salta una escursione tra quelle in calendario, conosce il massiccio del Pollino quasi come le sue tasche ed è anche organizzatore delle escursioni e pioniere di nuovi ed interessanti sentieri. Per l’escursione di oggi, che rappresenta una variazione più impegnativa rispetto al tracciato classico percorso altre volte, ha effettuato due settimane prima un sopralluogo dei posti che andiamo a visitare, per essere sicuro di poterli affrontare in sicurezza. Pino, ex operaio tessile, che insieme a Gaetano è responsabile dell’escursione, chiude la fila, paziente con chi rimane indietro per l’ennesimo scatto fotografico, o cerca di sistemare al meglio lo zaino pesante in maniera tale da poter marciare più spedito.
Tra noi vi sono anche escursionisti in grado di padroneggiare con sicurezza le moderne tecnologie informatiche, di sfruttare le ultime apps che con l’ausilio del GPS sono in grado di tracciare il sentiero su cui ci incamminiamo, di misurare con precisione la distanza percorsa e addirittura contare i passi effettuati. Ma Gaetano non ha bisogno di niente del genere: lui il Pollino ce l’ha nella mente e nel cuore e, anche in caso di nebbia fitta, sa sempre da che parte andare.
Per quanto mi riguarda, per principio rifuggo da tutte queste raffinatezze tecnologiche, mi fido ciecamente degli organizzatori e di quanto propongono, e mi accontento di seguire ordinatamene la guida, di gustare la bellezza del panorama, raccogliere e immagazzinare informazioni sul paesaggio, la flora e la fauna di un territorio incantevole.
Il primo tratto che percorriamo è in salita, talvolta agevole talvolta impegnativa. Il sentiero si snoda attraverso una fitta vegetazione di aceri, abeti, agrifogli, ginepri. Gli abeti, fittissimi, sono il biglietto da visita del nostro camminare, assicurano a noi frescura in una giornata afosa, e rappresentano ovviamente una importante risorsa economica per il territorio. Poi vi sono piante tipiche del posto come il sorbo montano, che in altri ambienti può presentare un fusto alto oltre 10 metri, ma che in condizioni climatiche particolari, come il Parco del Pollino, assume forma di arbusto, pur conservando il suo fascino, con le sue belle foglie ovalari, rigate e dentate. I frutti di colore rosso non li abbiamo visti, forse perché non ancora di stagione, forse perché già maturati.
Dopo circa un’ora di marcia arriviamo finalmente al Lago Fondo, uno specchio d’acqua che alcuni geologi fanno riasalire all’ultima glaciazione, le cui dimensioni variano a seconda dell’entità delle piogge stagionali. Oggi è abbastanza profondo e limpido e le acque verdi riflettono la vegetazione che lo contorna e ne rafforzano il senso di frescura che emana. All’interno di esso si trovano diversi esemplari di tritone italico oltre a salamandre e testuggini (queste ultime due non le ho viste). Il tritone è interessante perché è un pesce anfibio, di origini preistoriche, che alberga, a dire il vero, in molti specchi d’acqua dell’Italia Centromeridionale. Ne abbiamo visti poco meno di una decina, ma sono sicuramente presenti in numero maggiore nel lago, perché temono il contatto con le altre specie e spesso tendono a nascondersi. Lunghi circa 8 cm presentano delle creste lungo il dorso di colorito verdescuro, e testimoniano della purezza delle acque. Una piccola sosta attorno al lago oltre che consentire di ammirare la purezza delle acque, da anche modo a quelli più arruginiti di noi di riprendere fiato in vista delle tappe successive della nostra escursione di serie EE (cioà tra le più dure).
Riprendiamo il cammino fino ad incrociare il sentiero 950, in leggera salita, che cominciamo a percorrere. Geatano mi fa notare alcuni bei rari fiori gialli della specie Doronica Columnae che spuntano in modo gaio ed energico dalla vegetazione con la caratteristica unica di svilupparsi solo a certe altezze. E finalmente siamo al sentiero del Rueping. Pianeggiante, e agevole da percorrere perchè luogo in cui fu costruita agli inizi del novecento una strada ferrata da industriali tedeschi del legname, da cui ha preso il nome. Vincendo il timore di possibili attacchi da parte dei briganti che oramai in numero assai ridotto, ma pur sempre presenti, albergavano in questi territori, come testimoniato dalle grotte presenti intorno al lago Duglia, i tedeschi costruirono una strada ferrata della quale è possibile intravedere lungo il percorso effettuato delle traversine di legno costruite con il legname della fitta boscaglia circostante. E’ probabile che lo sfruttamento del legname sia stato fatto in modo intensivo e sistematico, sfruttando accordi con le amministrazioni locali che probabilmente in cambio potevano aspirare all’utilizzo di manovalanza locale, e di qualche royalty di una certa entità. Storicamente i Rueping risultano essere tuttavia i costruttori anche
della ferrovia Sibari Cosenza, che cosentì alla citta bruzia di vincere l’isolamento in cui era confinata dalla sua caratteristica posizione geografica. Ma, a parte queste considerazioni prosaiche, riveste un fascino irresistibile la individuazione dei resti delle poche traversine ancora presenti sul territorio e la nostalgia dei tempi andati che esse evocano.
Superato il Rueping ci tocca affrontare la cresta nord di Serra del Crispo. È la parte più difficoltosa dell’escursione in forte salita e con sentieri non ben definiti, in mezzo a ciottoli e a fitta vegetazione che rende assai spesso il passo duro ed insicuro: il ginepro si estende dappertutto, nasconde spesso il sentiero e ne esalta la difficoltà. La durezza del cammino causa un allungamento della fila: i più arditi e agili, tra cui Mimmo, sono sempre in testa, gli altri arrancano a distanza, anche se non si lasciano distanziare più di tanto. Non c’è spazio per le conversazioni, siamo troppo impegnati a regolare il passo e a misurare le nostre energie. Ciascuno di noi si rinchiude in sé stesso augurandosi di superare quanto prima questo tratto. Ma è bello lo stesso camminare, respirare aria limpida, pur in una giornata che si presenta più calda del solito e, prendendo per un attimo fiato ammirare il panorama che contorna ormai il nostro cammino e l’orizzonte che si apre immenso, non ostacolato dalla vegetazione presente più a valle. Ecco di fronte sul lato sinistro il Santuario della Madonna del Pollino, ecco più a destra il caratteristico monte Alpi al di sotto del quale si scorge il paesino Latronico, ecco, all’altro estremo Terranova del Pollino. Ma il panorama è fatto soprattutto dai monti che circondano per intero l’orizzonte, che sconfinano nel cielo azzurro di giugno e tolgono il fiato per la loro bellezza.
Ci siamo, eccoci finalmente in cima alla parte ovest di Serra del Crispo, l’incanto, il paradiso terrestre che personalmente visiterei , se potessi, tutti i giorni e dove, in delle splendie radure interrotte da massi bianchi di ogni dimensione, troviamo Titano e pini loricati a decine e centinaia, di ogni forma e dimensioni, viventi o solo scheletri di un lontano passato. Tutte le volte che raggiungiamo questa vetta a circa duemila metri di altitudine, siamo soggiogati dalla sua magia. Di fronte a noi sua maesta il Dolcedorme, la vetta più alta del massiccio, ancora innevata in certe sue parti, poco a destra il Pollino, più tozzo e imponente, poi
Serra del Prete, immersa nel bagliore del sole del crepuscolo. Siamo in mezzo al verde, con i Pini loricati di dimensioni enormi che, millenari, testimoniano di un passato antico e biblico. Il più imponente è Titano alto forse 20 metri con il suo tronco enorme, le sue radici contorte, i rami possenti e robusti che di dirigono in ogni direzione. Ma fanno la loro figura anche gli altri pini loricati: sono presenti lungo tutto il perimetro di Serra del Crispo ed ispirano sensazioni diverse: quelli verdi, lussureggianti, rappresentano la vita che trionfa anche in condizioni difficili ed estreme, quelli secchi sono forse espressione di scheletri del passato, quasi di lotta impari contro potenze avverse, titaniche, appunto, della natura contro le quali hanno opposto eroica ma vana resistenza. Una sosta è d’obbligo in questo mare verde, in questo oceano di sensazioni che allargano il petto, e rendono grazie al Signore del creato.
Una pausa, dicevo, per il consumo del pranzo a sacco, potrebbe sembrare irrispettosa e basfema, ma alla fine non ci sottraiamo ad essa, se non altro per la necessità di incamerare energie per la discesa a valle, che per le carattistiche dei sentieri da percorrere si presenta altrettanto impegnativa della salita. Dopo il pranzo, innumerevoli scatti fotografici, che ripeteremo certamente in numero ancora maggiore alla prossima visita della Serra. Prima di prendere la strada del ritorno lo sguardo si posa nuovamente su Titano e sui suoi numerosi compagni di avventura. Finalmente ci incamminiamo verso valle, passando per la Grande Porta del Pollino, non prima di aver reso omaggio a “Zi Peppe” (Zio Peppe: ma perché questo nome irrispettoso?), lo scheletro ancora imponente del Pino Loricato più importante del Pollino, dato alle fiamme per motivi certamente non nobili e sicuramente abietti ormai qualche decina di anni fa.
Tappa ultima del nostro odierno peregrinare (ma che peregrinare!), lungo il ritorno alla radura di lago Duglia è la Pietra Castello , roccia imponente contrassegnata da un ometto di Pietra, che impressiona per la sua mole e sulla quale alcuni temerari decidono di inerpicarsi. Ormai sono nove ore, soste compresa, che siamo in marcia. Alla fine stremati, esausti, ma beoti, pardon beati, ritorniamo alle nostre macchine. Abbiamo appena la forza di salutarci, e non vediamo l’ora di affrontare la strada del ritorno. Per arrivare a Rossano e a Pietrapaola, impiegheremo circa due ore e mezzo, cercando di scacciare il pensiero delle ironie e dei motteggi delle consorti, quando di vedranno, sfiniti, infine rientrare a casa, ma sicuramente pronti, questo è certo, ad intraprendere la sfida della montagna alla prossima occasione.